Le SU sulla nullità degli atti di trasferimento immobiliari
Mar 28Lo scorso 22 Marzo è stata depositata la Sentenza n. 8230 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che ha composto il contrasto ermeneutico sulla nullità prevista dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 (e in precedenza nelle analoghe disposizioni degli artt. 17 e 40 della L.n. 47 del 1985). La norma in questione prevede che “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù.”
A partire dal 2013 la Terza Sezione della Cassazione aveva introdotto una interpretazione ampia della nullità, individuandone una virtuale (ex art. 1418, 1° comma c.c.) di tipo sostanziale nel caso in cui l’immobile non fosse in regola con la normativa urbanistica, accanto a quella formale, relativa alla dichiarazione dell’alienante, fino ad allora ritenuta dalla Suprema Corte l’unica riveniente dal dettato della Legge.
A seguito della rimessione al Primo Presidente ad opera della Seconda Sezione con ordinanza n. 20061 del 30/07/2018, con la sentenza in esame le SU hanno posto ordine nella materia, valutando corretta l’interpretazione che aveva considerato la previsione normativa limitata alla c.d. nullità formale in mancanza di una valida dichiarazione dell’alienante, stabilendo i seguenti principi di diritto:
“La nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della L n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 cc, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile.”
“In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato”.
La SC ha cercato, attraverso questa operazione ermeneutica, la sintesi tra le esigenze di tutela dell’acquirente e quelle di contrasto all’abusivismo: in ipotesi di difformità sostanziale tra titolo abilitativo enunciato nell’atto e costruzione, l’acquirente non sarà esposto all’azione di nullità, con conseguente perdita di proprietà dell’immobile ed onere di provvedere al recupero di quanto pagato, ma, ricorrendone i presupposti, potrà soggiacere alle sanzioni previste a tutela dell’interesse generale connesso alle prescrizioni della disciplina urbanistica. D’altro canto egli potrà comunque far ricorso ai rimedi civilistici della risoluzione per inadempimento, dell’actio quanti minoris, con ogni conseguenza risarcitoria.